Ripensare al calendario scolastico per sviluppare la parità

A inizio giugno ho partecipato al convegno di presentazione dell’importante studio della SDA Bocconi “10 anni dalla legge Golfo-Mosca. Perché il tema della diversity & inclusion non entra nelle agende dei CDA”. Dell’iniziativa parla in modo puntuale un articolo pubblicato da Valore D, realtà che da anni sostiene e promuove le quote di genere e supporta lo sviluppo delle competenze delle donne.

L’occasione ha permesso di affermare ancora una volta la situazione positiva in termini di parità di genere in Italia in tema di presenza delle donne ai consigli di amministrazione. Situazione rinforzata proprio grazie alla legge che porta anche il mio nome. Purtroppo nonostante gli ottimi risultati ai livelli apicali raccontati dallo studio, la cultura generale non sembra ancora essere cambiata. La giù molto impervia strada per arrivare davvero a una società più equa, si è allungata e sembra essere ancora più in salita a causa della pandemia.

Se i passi efficaci che si possono affrontare sono chiari, allo stesso tempo non sembra essere applicato lo stesso livello di dedizione nel rafforzarli. Certamente il cambiamento si deve auto sostenere e non può restare solo demandato a imposizioni dall’alto. Ma non va molto lontano se resta isolato a iniziative tanto importanti quanto sporadiche. In questo senso la storia della legge Golfo-Mosca offre un modello: una volta entrata in vigore, è stata cruciale l’azione di supervisione e il controllo che ha portato ai risultati inattaccabili che conosciamo. Senza questo la sua efficacia si sarebbe annacquata presto. Il nostro Paese è quello che nel minor tempo ha raggiunto in questo ambito un cambiamento così rapido e diffuso, rendendoci un caso unico al mondo. Un modello da replicare. Una best practice analizzata e studiata per essere ripetuta altrove.

Il livello di disparità a cui la crisi corrente ci ha portato riguarda a 360 gradi le pari opportunità e l’occupazione femminile: dal pay-gap al peso della cura distribuito in modo sproporzionato sulle spalle delle donne. In questo quadro, una nota molto dolente è rappresentata dal tema della scuola e della cura dei bambini.

L’Italia resta l’unico Paese con calendari scolastici tali da penalizzare pesantemente soprattutto le donne. E non so tratta più solo e tanto di una questione di asili nido. Non è possibile che ancora oggi, anche all’indomani di due anni di pandemia e chiusure continue, la pausa estiva per gli ordini scolastici dell’obbligo sia di 3 mesi.

Ripensare alla divisione dell’anno scolastico costituirebbe un beneficio per l’istruzione dei ragazzi e delle ragazze, contrasterebbe meglio l’annosa questione dell’abbandono e favorirebbe l’emancipazione delle giovani generazioni, a partire dalla zone più svantaggiate, al sud come nelle periferie delle grandi città. Ma ancora di più impatterebbe direttamente e in modo virtuoso sull’occupazione femminile.

Serve uno sforzo efficace per affrontare e assistere il cambiamento che stiamo vivendo. Ma questo non può arrivare solo dalla base, deve essere affrontato con misure innovative.

Abbiamo la grande opportunità di proporre nuove iniziative anche mai prima immaginate dovendo affrontare un presente che inimmaginabile fino a 18 mesi fa. Allora lo affermo ancora: iniziamo dalla scuola e dal suo calendario. Certo non basta e non basterà come misura singola, ma è necessario uscire da una mentalità che pensa a interventi di solo accudimento e resta basato su una struttura occupazionale, ancora una volta, penalizzante per le donne. Se continuiamo a pensare che la società e la cura siano una questione solo di un genere rispetto all’altro, non potremo progredire verso una parità di opportunità, di accesso alle carriere e alle cariche ma anche di possibilità di realizzazione personale e indipendenza economica. Con tutto quello (in particolare rischi) che questo comporta.

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